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Calabria, il park village di Capo Colonna e quei 79 bungalow invisibili
di Eva Catizone
il fatto quotidiano | 11 gennaio 2017



Capo Colonna, tra i luoghi identitari più suggestivi della Calabria: sabbia rossa, acqua cristallina e cielo azzurro. Siamo nella pitagorica Crotone, su quel che resta del tempio di Hera Lacinia, moglie di Zeus, dove resiste l’unica superstite delle 48 colonne doriche che costituivano uno dei santuari più importanti della Magna Grecia, sede d’asilo politico, meta di viandanti e navigatori, non esime da prodigi, lì dove per Tito Livio le ceneri dell’altare non si disperdevano neanche nelle giornate ventose.

Qui si può ancora assistere ad uno degli eventi più belli a queste latitudini: il Festival dell’Aurora, dove al sorgere del sole che sullo Ionio nasce dal mare si tiene un concerto di rara bellezza che sa di coscienza d’un luogo. Attenti però, siamo pur sempre a Crotone, una delle zone più mortificate perché cementificata con l’avallo di chi avrebbe dovuto vigilare, tutelare. Di più succede in un momento in cui il New York Times promuove la Calabria tra le zone insolite da visitare nel 2017 per le sue ricchezze immateriali: cibo, salubrità dell’aria, elementi su cui la politica locale appare, a voler essere generosi, distratta. Sarà il fascino poco discreto dei mega villaggi turistici in cui l’alienazione la fa da padrona, in un’epoca globale da controtendenza di bioturismo nelle case o in B&B di qualità.

Il Marine Park Village di punta Scifo: in un’area paesaggisticamente vincolata 79 bungalow e una ricezione di 237 ospiti (ma il depuratore previsto dovrà supportarne 500, errore di calcolo?) cui s’aggiungono un ristorante in via di realizzazione in netto contrasto con l’edilizia circostante e un gioco d’acqua per bambini che diventa (in caso d’orticaria per l’acqua che qui è più salata che altrove) un’enorme piscina di 4 metri e mezzo di profondità, fronte mare, a ridosso del demanio. Sbancamenti che iniziano nel 2013, una sanatoria concessa dalla Regione nel 2015 e il paesaggio visibilmente alterato, all’interno della riserva marina di Capo Rizzuto in una baia che custodisce 2 relitti romani tra cui il relitto Orsi, un cantiere a ridosso d’una masseria del 700, a pochi metri dalla Torre d’avvistamento Lucifero del 600, in uno dei rari tratti di costa calabrese finora intatto. Con l’aggravante che questa operazione si tradurrà nella cementificazione di Capo Colonna. Un agguato al territorio sacrificato a interessi economici.

I primi atti amministrativi di questa singolare vicenda risalgono al 2006 quando i fratelli Scalise, imprenditori agricoli in realtà proprietari d’una catena di negozi d’articoli sportivi recentemente prestati al turismo (vedi il Parco della neve di Villaggio Palumbo) promuovono su un terreno agricolo che da piano regolatore consente attività agrituristica la realizzazione di un “camping” presentato come strutture leggere amovibili che di fatto diventano villaggio turistico

Per la Soprintendenza calabrese le strutture sono state realizzate, in realtà a voler andare in quella zona non se ne vede neanche una di opera fatta. È la triste storia del saccheggio d’un territorio operato sulla base di contratti miracolosamente firmati da defunti, documenti che spariscono, autorizzazioni lampo che sfiorano, in una terra pachidermica in quanto a burocrazia amministrativa, le 24 ore.

Ad oggi le sole opere sotto gli occhi di tutti sono piattaforme di cemento e sbancamenti, col rischio che i lavori potrebbero subire un’impennata, per come richiesto dall’avvocato Domenico Grande Aracri, fratello di Nicolino, al vertice della cosca di Cutro, protagonista dell’operazione Aemilia condotta dalla Dda di Bologna. Una cosca interessata ai parchi eolici che, a sentire il procuratore facente funzioni di Catanzaro Giovanni Bombardieri, frequentava i tavoli delle logge massoniche.

Contrarie le associazioni ambientaliste capitanate dall’archeologa Margherita Corrado. E una battaglia politica di tutela del territorio sostenuta da Nicola Morra, senatore pentastellato, genovese di nascita, cosentino d’adozione, sguardo di ghiaccio tagliente, intelligenza viva e asta in resta su tante battaglie di legalità, perché qui di questo si tratta. E il bravo ministro Dario Franceschini cosa fa? Sono attese posizioni e risposte certe, possibilmente non evasive, a protezione etica d’un territorio per troppe volte confuso, a volerla dire con Magnaghi, con un asino, quasi che fosse una bestia da soma da caricare.



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