Venezia Basilea. Due modi di creare eventi opposti e vicini Achille Bonito Oliva la Repubblica, 27 giugno 2005
In che modo oggi sono confrontabili la Biennale veneziana e la Fiera mercato? Ecco perché l’arte si è globalizzata Una è una rassegna no profit, mentre l'altra punta al profitto La distanza tra l'istituzione culturale e il mercato si è annullata
Roma Facciamo un gioco. Facciamolo insieme. E seriamente. Prendete da una parte la Biennale di Venezia, la 51 esima edizione, e dall'altra la Fiera di Basilea, la 36esima edizione. Fino agli anni Settanta sarebbe stato far giocare il diavolo e l'acqua santa. Dove l'acqua è quella lagunare che circonda i giardini e i padiglioni della Biennale di Venezia, esposizione ultracentenaria d'arte contemporanea. Il diavolo, naturalmente, sta per la Fiera di Basilea, ultratrentennale incontro internazionale del mercato d'arte moderna e contemporanea. Ora, nel 2005, con mente lucida e cuore sgombro, sappiamo che non è un gioco blasfemo e che il denaro da statuto di realtà alla produzione fantasmatica dell'artista. Il collezionismo ed il museo esprimono il desiderio privato e pubblico di tesaurizzare i valori dell'arte contemporanea. La Biennale rappresenta per statuto l'appuntamento per testare l'attualità più ultima della ricerca artistica e la Fiera di Basilea, anche quest'anno, è stato un appuntamento unico per lo stesso scopo. Malgrado la differenza di intenti, una no profit e l'altra profit, esistono strutturali affinità tra i due eventi. I numerosi stand della Fiera sono direttamente proporzionali ai padiglioni nazionali sempre più numerosi della Biennale. La mostra Art Unlimited a Basilea, curata da Simon Lamunière, sta alla Esperienza dell'arte curata da Maria de Corrai per la Biennale, come la mostra Sempre più lontano di Rosa Martinez all'Arsenale sta a Statementes e Liste, che raccoglie, extra moenia dalla Fiera, le gallerie più giovani. Evidentemente ormai esiste distanza zero tra l'istituzione culturale e quella di mercato. Entrambe concorrono a vetrinizzare la ricerca artistica contemporanea dentro un sistema dell'arte sempre più globale ed omologante. Se da qualche secolo l'arte ha dovuto rinunciare al popolo ed accontentarsi del pubblico la sua identità fa la differenza fra Venezia e Basilea. Generico quello della Biennale, una fascia allargata dagli addetti ai lavori agli amateurs. Personalizzato quello della Fiera, fatta da soggetti interessati a collezionare-comprare-vendere, se pur con godimento per la qualità delle opere. Stabile e statico il pubblico di Venezia, un picnic di degustazione visiva a conduzione familiare, sempre gli stessi. Istantaneo ed incursore quello di Basilea, fatto di new entry, di galleristi e collezionisti, attratti dall'esplo-sione dei prezzi dell'arte contemporanea, proprio per questo bene rifugio e status symbol, investimento oculato e senso del gioco. A fronte del peso centenario e diplomatico della Biennale c'è il dinamismo giovane e disinibito della Fiera di Basilea. E se quest'ultima sembra affermare senza ipocrisia che Vargentfait la guere, la Biennale sembra gestire il dopo-guerra. Che fare? Io credo che la Biennale di Venezia non abbia bisogno di curatori ma di guaritori. Portatori cioè di un progetto magari tematico e unitario capace di emendarla di un male cronico e storico, una frammentarietà espositiva dovuta ad un ente che ricalca ancora nei suoi padiglioni una struttura da Expo Universale, dove ogni paese presenta i propri ultimi prodotti, tranne quello italiano, smarritosi tre edizioni fa. La sovrapposizione a tale frammentarietà di due mostre internazionali esalta ancor più tale identità antiquariale. Il progetto guaritore dovrebbe essere improntato ad una strategia transnazionale di interferenze e dialogo con i padiglioni nazionali e ad una scrittura espositiva capace di presentare artisti inediti nello spirito di Laboratorio quale è stata la Biennale di Venezia in alcuni casi. Naturalmente il godimento non manca, nel padiglione inglese con Gilbert & George, in quello spagnolo con Montadas, in quello albanese con Sisley Xhafa, nel padiglione Venezia Cecchini, e ancora austriaco, cinese e belga. Come anche, nelle due mostre internazionali, con le opere di Araujo, Meireles, Lopez, Whiteread, Wal-linger, Garaicoa, Esposito, Durham, Paci, Vega. Ma L'esperienza dell'arte non è dettata da alcuna autorità critica, così personale da sfiorare il privato di un silenzioso orgoglio ispano-americano ben temperato, da non giustificare l'assenza di Burri, Fontana, Beuys, Klein, Warhol e taglio di Transavanguardia e Arte Povera. Inaccettabile nel clone di Aperto, cioè Sempre più lontano, la presenza di opere precotte della Bourgeois, Marito Mori e della Hatum. In questa Biennale echeggia il silenzio stabile di un museo già previsto, una regia ortopedica che gioca a togliere, a creare intervallo e distanza tra le diverse opere a favore dell'eco magniloquente dell' arsenale che fagocita ogni cosa. All'indubbia buona organizzazione di questa 51° Biennale, che paradossalmente evidenzia il gesso espositivo, risponde a distanza di una settimana, con vitalità ed energia un altro anello del sistema dell'arte, la Fiera di Basilea. Nell'implosione di uno spazio ospitante i piccoli padiglioni, gallerie di tutto il mondo che promuovono la formazione differenziata del gusto collettivo con opere storiche e nuove di artisti di diverse generazioni, esplode un'avvincente corto circuito, nella coesistenza delle differenze tra la resistente qualità di Bacon e la forza architettonica di Merz, tra il cannibalismo pittorico di Picasso e gli erotici tagli di Fontana, tra la visionaria pittura di Cucchi e la concentrazione spaziale di Kapoor. In allegra brigata De Chirico, Magritte, Giacometti, Fautrier, De Maria, Chen Zhen, Longo e tant'altro. La figura del curatore, generalmente portata alla manutenzione del presente dell'arte, sembra qui trovare (come si suoi dire) la morte sua, l'esaltazione del ruolo, nella mostra Art Unlimited. Qui sono radunate e selezionate le proposte dei galleristi riguardanti opere multimediali: il video di Bill Viola, l'installazione di Buren, la performance di Gianni Motti, e, tra i giovani, Sasnal e Escheibitz. Niente morte dell'arte dunque, ma sicuramente trasparenza dei ruoli, il direttore della fiera Samuel Keller che ospita senza falsi pudori Liste, più che una mostra uno stato d'animo documentativo degli sforzi emergenti dell'ultima leva artistica. In definitiva nel sistema dell’arte ai convenzionali caratteri dell'opera evidenziati dalla Biennale, universalità, immortalità e oggettualità delle forme, la Fiera di Basilea contrappone circolazione, velocità e oggettività del denaro. L'infierì Biennale dello storico Aperto è ormai preconizzato dall'annuale Fiera. Il futuro fagocitato dal presente. Non più differenza tra chi passa alla storia e chi alla geografia. Fine del gioco.
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