Bonami: la mostra più che Wìmbledon sembra il Queens Luca Mastrantonio ilf Riformista 10-GIU-2005
La formula di Davide Croff è giusta ma viene applicata con troppi errori. Innanzitutto il timing e certi eccessi di italianità nelle nomine, oltre a una predominante visione museale e un'eccessiva riduzione del numero degli artisti. Così quello che dovrebbe essere il torneo di Wimbledon per quest'anno assomiglia più a quello di Queen's, una specie di riscaldamento. E pazienza se le signore trovano molto confortevoli toilette e distributori dei caffè, la Biennale non è il politecnico dei servizi pubblici, ma una piattaforma dove riflettere sullo stato contemporaneo dell'arte. E invece si consolidano persino fenomeni di parassitismo artistico che un maggior dialogo tra la Biennale e la città potrebbe risolvere. Così Francesco Bonami, curatore della scorsa edizione delia Biennale, ha commentato la 51esima edizione della esposizione internazionale d'arte della Biennale di Venezia, al cui vernissage, oggi, interverrà anche il ministro Rocco Buttiglione. «Molte scelte sono giuste, ma sono state realizzate in modo sbagliato. Anche questa sbandierata designazione al femminile ha diverse pecche. Innanzitutto sono state scelte due curatori che, pur avendo fatto un ottimo lavoro, si sovrappongono inevitabilmente. Il padiglione Italia, curato da Maria de Corral, offre un percorso chiaro e lineare dell'arte contemporanea, l'altra mostra, curata da Rosa Martìnez, all'Arsenale, è più da trincea. Ma a parte questo umore diverso, non sono né assimilabili né distinguibili. Ma io sono del parere che un romanzo vado scritto con meno parole a caratteri più grossi». Uno sdoppiamento che a molti critici d'arte non è piaciuto. Bonami lo spiega con semplicità: «Le due spagnole sono state costrette a organizzare due rassegne in pochi mesi. Sono subentrate dopo il no di Robert Storr che ha preferito avere più a tempo a disposizione per la prossima edizione. Anche sulla tanto sbandierata continuità del progetto che avrebbe avuto la supervisione di Storr, che ha scelto le due curatrici, fino al 2007 non siamo ai livelli di Szeeman, che l'allora presidente Baratta volle alla Biennale nel 1999 e nel 2001. Se proprio si voleva dare un segnale forte, di rottura e durata alio stesso tempo, non si poteva scegliere una donna da tenere fino al 2007? Inutile perdersi in una comunicazione spicciola. Il botto mediatico lo fai quanto punti su figure come il nigeriano Okwui Enwezor nel 2002, il primo direttore non europeo». Nonostante le critiche, dallo spirito costruttivo, alla parte organizzativa, Bonami difende la qualità delle presenze internazionali alla Biennale, che secondo alcuni critici, invece, avrebbe ricevuto contributi deboli e svogliati da parte di alcuni paesi: «Non direi proprio, l'Inghilterra ha portato Gilbert e George, ma anche Rachel Whiteread, la presenza tedesca, olandese e americana è molto sostanziosa. I momenti più forti di questa Biennale sono i quadri dell'americano Philip Gustali al padiglione Italia, mentre all'Arsenale mi hanno colpito la performance del tedesco John Bock. Meritano anche i video di Beckett, la scultura di Whiteread, i film del sudafricano William Kentridge». Tra i bocciati, invece, l'opera tanto decantata di Franco Vezzoli, che ha rielaborato il Caligola di Tinto Brass con la partecipazione straordinaria di Courtney Love, Gore Vidal e altri vip, praticamente a parametro zero. «Non sono un appassionato di Vezzoli, ha fatto già un'opera blasfema sui Comizi d'amore di Pasolini. Le sue idee sono buone però svolge il tema male, sempre a caccia di nomi, è un mini, ma veramente mini Tom Wolfe, che rinfocola il "falò delle vanità"». Bocciata anche la colonna davanti ai giardini, «a me non piace come lavoro e poi è un'opera che per la collocazione rischia di diventare il simbolo della Biennale quando non lo è. E' stata scelta dal ministero degli Esteri, non dalle curatrici della Biennale». Un fenomeno che rientra in quella forma di «parassitismo» che secondo Bonami caratterizza la Biennale, con iniziative che vivono «a sbafo mediatico» e «danneggiano la mostra», con il risultato di confondere il visitatore: «Non riesco a capire questi pinguini rossi messi sui balconi e in altri luoghi assai visibili della città. C'è un disordine ottico assai fastidioso. Una tendenza a sfruttare come parassiti la Biennale. Io fui costretto a mettermi sui binari per protestare contro la mostra di Boterò in contemporanea con l'apertura della Biennale. Su questo l'amministrazione della città dovrebbe vigilare, ma credo che sia mancato il dialogo tra la ritta e la Biennale». Per quanto riguarda la querelle sulla presenza degli autori italiani, Bonami plaude alla scelta di destinare un padiglione agli italiani, però «non sentiamoci come un nido di talenti sacrificati, se le curatrici hanno selezionato poca Italia ci sarà un motivo». Bisogna semplificare, non complicare la situazione: «Avevo proposto -ricorda - di realizzarlo ai Giardini dei padiglione Italia, dove ha più senso, lasciando all'Arsenale la dimensione internazionale. Invece il padiglione italiano verrà collocato nell'Arsenale, assieme a quelli stranieri. Per i quali, vale la pena ricordarlo, la Biennale non mette bocca, mentre per questo padiglione del 2006 affidato a Ilda (Mannelli la scelta non è stata esclusivamente dettata dalla Dare, del ministro dei Beni e le attività culturali, ma anche dalla Biennale». Duro il commento sulla scelta dello scenografo Dante Ferretti a capo della giuria del Festival del cinema di Venezia: «Risponde a un'ottica conservativa e protezionistica che non mi piace. L'anno dopo Monicelli ecco Dante Ferretti. Tra l'altro, le colonne di Leoni d'oro realizzate da Ferretti per il Palazzo del Cinema sono costate tanto ed erano un obbrobrio, sembravano uscite dall'allestimento di un Olhello al Comunale di Firenze. Non è che se il presidente della giuria è straniero gli italiani vengono maltrattati. In questo la formula Wimbledon dove sta?». Un altro punto, infine, su cui Bonami toma a frenare gli entusiasmi di Croff riguarda la macchina organizzativa, elogiata da Natali a Aspesi su Repubblica (dove ha salutato la «benedetta proliferazione delle toilette, ristoranti ben arredati e angolini con distribuzione per acqua e caffè per la salvezza dei pellegrino biennalico»). «Va bene far funzionare meglio la macchina organizzativa - conclude Bonami - ma non perdiamo i contenuti: a treni che arrivano in perfetto orario ma in città anonime o degradate, preferisco un po' di ritardo ma una destinazione interessante».
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