Palazzo Vecchio «apre» la Sala di Clemente VII Marco Ferri Il Giornale della Toscana 9 giugno 2005
Da ieri il turista che viene a Firenze, ha due gioielli in più da ammirare in Palazzo Vecchio: la Sala di Clemente VII (ex-sede dell'ufficio del sindaco) e l'attigua cappellina dei Santi Cosma e Damiano. La presentazione è avvenuta ieri alla presenza del primo cittadino di Firenze, di un buon numero di assessori e del Soprintendente al Polo Museale fiorentino, Antonio Paolucci, coinvolto per tenere una sorta di lectio magistralis su quel luogo che trasuda arte e storia da ogni centimetro quadrato affrescato.
Ha deciso il sindaco - Solo che a sentir parlare Domenici, è venuta in mente la parte finale di un monologo che Peppone, il sindaco comunista di Brescello, pronuncia nel primo film della serie: «Siccome in questo paese non comanda il sindaco - diceva Peppone - ma comandano i comunisti, me capo dei comunisti vi dico che me ne infischio del vostro parere, e domani la signora Cristina andrà al cimitero con la bandiera che vuole lei, perché io rispetto più lei morta che voi tutti vivi, e se qualcuno ha qualcosa da obiettare lo faccio volare giù dalla finestra!». La frase calza a pennello per sintetizzare che la decisione di «restituire» la sala alla pubblica fruibilità, è solo principalmente sua e non certo della giunta, dove, con tutta probabilità, c'era anche chi non la pensava così. Infatti Domenici ha prima riconosciuto a Piero Bargellini, nel 1967, la primogenitura dell'idea di abbandonare la sala di Clemente VII (salvo poi cambiare idea proprio per la difficoltà a mettere d'accordo la giunta), poi ha affermato che lui ha «semplicemente informato» gli assessori di Palazzo Vecchio che aveva preso la decisione di spostarsi a lavorare in una sala vicina, inserendo di fatto la suggestiva sala nel percorso museale di Palazzo Vecchio, esclusi i momenti in cui servirà un ambiente di rappresentanza all'altezza della fama di Firenze, perché è giusto che prosegua «il processo di riappropriazione dei beni storici, artistici e monumentali della città da parte dei fiorentini», ha aggiunto il sindaco.
L'incunabolo mirabolante - Così l'ha definita il soprintendente Paolucci, la sala di Clemente VII, un «mirabolante incunabolo». In effetti si tratta di «un formidabile strumento culturale», dove si intrecciano momenti «di storia fiorentina, italiana e internazionale». La sala che, da 135 anni ha visto a lavoro tutti i sindaci di Firenze, è dedicata a papa Clemente VII (ovvero Giulio de' Medici, figlio naturale di Giuliano nonché nipote del Magnifico) attraverso una serie di bellissimi affreschi di Vasari e dello Stradano. «In essi si vede - ha detto Paolucci - Clemente VII che incontra Francesco, il re di Francia, e poi l'imperatore spagnolo Carlo V, che aveva spedito in Italia i lanzichenecchi per saccheggiare Roma; e infine mentre sposa Enrico II di Valois con Caterina de'Medici, sua pronipote. Poi ci sono i segni dell'espansione fiorentina, con gli assedi di Volterra e di Empoli, due città ancora oggi riconoscibilissime. Tuttavia - ha proseguito - ciò che attrae di più in questa sala è il grande affresco dello Stradano con la scena dell'assedio di Firenze del 1530. É un grande poster con il grande emblema della tirannia, cui fa da contraltare la targa di Piero Calamandrei del 1945 dove si legge che "il palazzo dei padri sorge più alto sopra le rovine dei ponti", con evidente riferimento alle tragedie dell'ultima guerra. Ecco - ha proseguito Paolucci - in questo grande affresco c'è il ritratto di Firenze più riprodotto, attraverso cui si spiega la storia degli ultimi 500 anni». Nelle immediate vicinanze della sala, sarà visibile (ma non percorribile a causa delle non buone condizioni del pavimento) la cappella dei Santi Cosma e Damiano, terminata nel 1588 per le nozze di Lucrezia de'Medici con Alfonso II d'Este.
Polemica con l'Opera del Duomo - La presentazione ha avuto uno strascico velatamente polemico. Nella cartella stampa, oltre alle notizie sulla sala di Clemente VII, è stata distribuita una scheda riassuntiva sulle affluenze nei musei italiani e fiorentini del 2004, col chiaro intento di esaltare il successo dei musei comunali, capaci di richiamare oltre 582mila visitatori lo scorso anno, di cui oltre 401mila a Palazzo Vecchio). Purtroppo in quella lista brillavano, per la loro assenza, le sedi monumentali del complesso di Santa Maria del Fiore, che hanno superato 1.397.000 visitatori nel 2004 (con la Cupola del Brunelleschi che, da sola, ha richiamato quasi 440mila turisti, 39mila in più di Palazzo Vecchio). La «dimenticanza» l'abbiamo fatta notare alla presidente dell'Opera del Duomo, Anna Mitrano, la quale, giustamente, ha chiesto garbatamente spiegazioni. Le è stato risposto, non con qualche imbarazzo, che la lista era stata fornita all'ufficio stampa di Palazzo Vecchio direttamente dalla soprintendenza al polo museale. Chiaramente, e non è certo una giustificazione, non ha fornito i dati del complesso museale di Santa Maria del Fiore che non è né statale né comunale. Ma allora, perché inserire nella lista diffusa ieri, un altro visitatissimo museo non statale né comunale come quello di Santa Croce?
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