Niente soldi per i restauri : tagli fino al 70% Alessandra Rubenni L'Unità 18/04/2005
Una pioggia di cartoline all’indirizzo del Ministero dei Beni Culturali e una raccolta di firme lungo tutta la Penisola per dire «no» a un decreto di legge che non fa ordine nel mondo del restauro,ma anche per protestare contro la politica dei tagli che ha ridotto all’osso le risorse destinate alla conservazione del nostro patrimonio culturale. È quanto annunciano i sindacati confederali che dalla Casa internazionale delle donne ieri hanno dato il via a una mobilitazione nazionale: presidi e banchetti sulle strade, a partire dal 7 maggio nella Capitale, per poi attraversare nell’arco di un mese le principali città d’arte di tutto il Paese. All’indice di Cgil, Cisl e Uil, c’è il decreto che in tema di restauro dovrebbe andare a integrare il famoso Codice Urbani. E che secondo i tre sindacati degli edili (Fillea, Filca e Feneal), così come lo ha elaborato la commissione ministeriale, lascia un bel buco nero nella riorganizzazione del settore. «Chiediamo strumenti di riconoscimento omogenei delle professionalità. Per il Ministero esistono 600 restauratori, mentre secondo i calcoli dei sindacati, ce ne sono oltre 30 mila», contesta il segretario generale di Fillea Cgil, Franco Martini. Perché di chiarezza sembra non essercene neanche un po’ nel marasma in cui si trovano da sempre i restauratori usciti dalle scuole d’alta formazione, da quelle regionali, provinciali o private, insieme a quanti sono cresciuti in bottega o nei cantieri.A seconda della loro formazione, restauratori oppure collaboratori non riconosciuti dalle Soprintendenze. «Il decreto Urbani dovrebbe ridefinire i profili professionali, ma si concentra solo sulla figura dei restauratori che provengono dalle scuole d’eccellenza, l’Istituto Centrale per il Restauro di Roma e l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, a numero chiuso, dai quali escono ogni anno 36 restauratori e che dal dopoguerra a oggi ne hanno formati 1.300. Per tutti gli altri - sottolinea Livia Potolicchio, coordinatrice di Fillea Restauro - si individuano solo le competenze essenziali. Queste figure, insieme al ruolo che hanno svolto in questi anni nella salvaguardia dei beni culturali, non possono essere ignorate. Il Ministero non ha tenuto in nessun conto le richieste dei sindacati ». Intanto i corsi universitari che dovrebbero sfornare nuovi restauratori non sarebbero ancora partiti e c’è chi tira un sospiro di sollievo, visto che negli atenei non sono stati attivati i laboratori per la pratica e i neo-laureati avrebbero rischiato di ritrovarsi tra le mani dei beni preziosi senza mai aver toccato prima un’opera d’arte. Ma quel che resta alla radice della protesta dei sindacati è lamancanza generale di attenzione per il patrimonio culturale. Con il Ministero che da una parte intona il refrain dei tesori d’Italia come grande ricchezza e risorsa per il turismo, e dall’altra non investe. «I tagli ai finanziamenti per interventi di conservazione - accusa Franco Martini - sono stati circa del 70% negli ultimi anni. Nel solo 2004 sono stati ridotti del 30% gli investimenti pubblici e tali lacune non sono state colmate dal ricorso a investimenti privati». A Livia Potolicchio basta un esempio: «Per i beni architettonici, gli investimenti per il 2004-2005 erano di 267mila euro, per il 2005-2007 di 70mila». E per chi vive di questo lavoro adesso è una questione di pura sopravvivenza. «Siamo disperati perché il lavoro manca da troppo tempo. Le imprese - spiega Filippo Talarico, presidente del coordinamento dei restauratori della Cna (Confederazione nazionale per l’artigianato) - sono sommerse dai curricula di chi ha bisogno di lavorare e non si tratta soltanto di chi è agli inizi. Il problema riguarda soprattutto chi fa questo mestiere da anni. Gli appalti pubblici non si vedono e poi gli importi sono basati sui prezzi di vent’anni fa». Con un drammatico paradosso: «Ci stiamo giocando la possibilità di trasmettere le conoscenze acquisite alle nuove generazioni, perché quando le imprese chiudono si perde anche il loro bagaglio d’esperienza. Sarebbe giusto - aggiunge Talarico - che alle imprese venisse riconosciuta una parte attiva in questo percorso. È inaccettabile che ci sia concorrenza tra noi e i laboratori delle scuole di restauro. Un nodo che potrebbe essere risolto se le imprese facessero una parte della formazione, sotto rigorosi controlli».
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