PALERMO - Rinasce Palazzo Fernandez Laura Nobile La Repubblica, ed. Palermo 17/04/2005
IL PRIMO plesso sorse nel 1727 sulle bassure del fiume Papireto, ma i lavori s'interruppero dopo la costruzione del primo piano per difficoltà tecniche dovute al suolo acquitrinoso. Nel 1883 l'edificio, acquisito da Giovanni Fernandez, era ancora incompleto e i lavori di consolidamento e completamento furono affidati all'architetto Giuseppe Damiani Almeyda, che in tre anni lo definì ispirandosi a repertori classici: aggiunse due livelli e lo consegnò per l'inaugurazione, nel 1886, al commissario ministeriale Giovanbattista Basile. Stralci di storia della sede storica dell'Accademia di Belle arti di Palermo, che oggi pomeriggio, alle 18,30, dopo cinque anni di restauri, rientra in possesso dell'edificio di via Papireto. Dal 2000, l'Accademia ha subito un totale restyling, con un intervento della Provincia di poco più di un milione di euro che ha interessato la facciata originaria in tufo, e i pavimenti in marmo bicromo, le mura dipinte a stucco e la realizzazione ex novo dell'impiantistica. Alla cerimonia d'inaugurazione, durante la quale il presidente della Provincia Francesco Musotto consegnerà l'mmobile alla presidente dell'Accademia Giovanna Bongiorno, prenderà parte anche Livia Titi Basile, nipote di Ernesto Basile. A siglare la cerimonia, un concerto per violino, pianoforte e contrabbasso del trio Omniart: l'ingresso è libero fino a esaurimento dei posti disponibili. «Palazzo Fernandez è destinato a diventare sede museale dell'Accademia — spiega Giovanna Bongiorno — con una biblioteca, attualmente smembrata nel vicino palazzo Santa Rosalia, e una videoteca al primo piano. E qui saranno ospitati incontri culturali, conferenze, mostre legate all'attività dell'Accademia: con la Provincia studieremo le modalità per la fruizione pubblica permanente». Oggetto dell'esposizione museale, saranno i gessi della Gipsoteca storica dell'Accademia, che dei 2000 pezzi originari, ne conserva circa un decimo: alcuni donati da Francesco I o da Archimede Campini, altri acquistati nel 1866 a corredo didattico, e i gessi architettonici donati da Ernesto Basile. Proprio l'architetto del teatro Massimo fu direttore dell'Accademia di Belle arti dal 1897 al 1923 e presidente dal '24 al '31. Palazzo Fernandez conserva anche gessi degli oratori di Serpotta, la Pietà di Campini e una testa del David di Donatello.
CONCEPITO come esempio programmatico di architettura circense, collocato ad apertura dei quartieri borghesi di nuova espansione, il Politeama è infatti un vero e proprio crocevia degli studi archeologici (anche siciliani) che sull'onda degli scavi di Pompei ed Ercolano aveva scoperto la fascinazione della policromia antica, sbarazzandosi in un solo colpo dell'immagine neoclassica di un mondo greco-romano tutto affidato al levigato chiarore del marmo. E alla policromia dell'arte greca in Sicilia, reinventata nella decorazione del Politeama da una avvertita équipe di artisti coordinati da Damiani con accenti più nervosi che precorrono il gusto modernista, erano stati dedicati, ad esempio, studi fondamentali da eruditi isolani come il Duca di Serra di falco e da viaggiatori e teorici stranieri come Hittorff. Un eclettismo attento alle esigenze di rappresentanza ma anche funzionali della città moderna di cui Damiani è stato interprete avvertito, mosso da un acuto spirito sperimentale e antidogmatico che lo ha posto spesso in antitesi con l'opera dell'altro grande interprete di quella stagione palermitana, Giovan Battista Filippo Basile. Se infatti Basile è il grande stratega del volto monumentale e celebrativo della Palermo del secondo Ottocento, Damiani (nato a Napoli nel 1834 e trasferitosi nell'isola nel '59; muore nel 1911) ha agito, invece, per direttrici più ellittiche e trasversali; come appare del resto evidente mettendo a raffronto il progetto presentato per il Teatro Massimo, pensato come una misurata e più discreta quinta urbana, e la solennità grandiosa che invece caratterizza l'edificio di Basile e che rappresentò la carta vincente per l'aggiudicazione del concorso. La metodologia e il repertorio di Damiani sono più duttili: capaci ad esempio di alternare l'ufficialità neorinascimentale nel restauro del Palazzo Pretorio ai mercati in ferro realizzati (e poi smantellati) a piazza degli Aragonesi e a Porta San Giorgio come alternativa moderna agli antichi suk dei vicoli del centro storico; ma anche di abbinare la decorazione "alla pompeiana" delle esedre di Villa Giulia (esempio raffinatissi-mo di decoro per il verde pubblico) all'uso accorto delle nuove tecnologie industriali, come nel caso della copertura metallica proprio del Politeama che rappresentò, per l'epoca, una soluzione di avanguardia. Uno sguardo aperto sia ai valori della tradizione liberamente reinterpretata come alle esigenze della città moderna, e ai suoi nuovi miti di efficienza e praticità. Senza che tra questi piani della sua attività fosse avvertita alcuna discrepanza o frattura, come dovette ben comprendere Ignazio Florio senior commissionandogli, nel 1875, la propria abitazione residenziale nell'isola di Favignana, l'isola dove si concentrava una parte cospicua della ricchezza della famiglia di imprenditori; e che Damiani risolve in una palazzina in stile, attingendo al repertorio neogotico allora dominante in Europa ma inserendo nel prospetto un classicheggiante portico d'ingresso nella partitura di finestre ogivali e merlature. Anche se il suo capolavoro, in tal senso, è probabilmente la grande sala dell'Archivio storico comunale dove elaborala spettacolare soluzione di vertiginosi pilastri aerei e ballatoi arrampicati, elegantissimi, nello spazio e lungo le pareti: quasi una versione funzionale della folgorante profezia del moderno che Piranesi aveva inciso nei fogli delle sue "Carceri".
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