LA SCALA come nel '46 tra la fine e la rinascita Fabio Zanchi 13 APR 2005
La Scala, specchio e simbolo di Milano. Lo è sempre stato. All'indomani della guerra, cumulo di macerie in una città devastata dai bombardamenti, il teatro venne rimesso in piedi nonostante la penuria di mezzi. La Prima, sotto la direzione di Arturo Toscanini, segnò il riscatto milanese. Era 1' 11 maggio 1946. La città si trovava a un bivio. Come la Scala, imboccò la strada della ripresa. Anche in questi giorni le vicende del teatro sembrano riflettere e ricalcare quelle della città. Riaperti i battenti dopo un restauro straordinario, la Scala sembra non avere prospettiva. In breve tempo abbiamo assistito al licenziamento del sovrintendente Carlo Fontana. Poi sono venute le dimissioni del maestro Riccardo Muti, l'annuncio di quelle del nuovo sovrintendente Mauro Meli, quelle di Fedele Confalonieri e di altri consiglieri dalla Filarmonica. In queste ore si parla di un possibile addio di Gonfalonieri anche al consiglio di amministrazione della Scala. Un quadro devastante, che non può essere ridotto solo al contrasto sindacale, come si tenta di fare. Come Milano, la Scala è di nuovo a un bivio. Come nel '46 si deve decidere, per la città e per il suo teatro lirico, se è possibile costruire un futuro praticabile e di prestigio. Certo non aiuta l'assenza del sindaco dalla scena. A dire il vero, Albertini aveva tentato di risolvere a modo suo il problema. Proprio allora il caso Scala si è complicato al punto da dover interpellare il prefetto, per una mediazione. Le dimissioni di Confalonieri dalla Filarmonica, dal sottile sapore di ripicca, fanno ripiombare la vicenda nel buio. Confalonieri non è un imprenditore qualsiasi. Innanzitutto è il numero uno di Mediaset. In secondo luogo, è il candidato indicato da Albertini per la successione a Palazzo Marino, ammesso che i milanesivogliano ancoraessere governati da una maggioranza di centrodestra. Il Confalonieri che, sdegnato, abbandona il campo è il rappresentante principale del sistema politico ed economico che ha accompagnato la Scala privatizzata sull'orlo di una crisi apparentemente senza sbocco. Il pericolo più grande, a questo punto, è che prevalga la tentazione di contrapporre un muro a un altro. Che chi sta alla guida della Fondazione Scala si lasci trascinare dal complesso di Sansone, aggiungendo macerie a macerie. L'interesse del teatro, ma prima ancora della città, è che le parti in campo riescano a recuperare lucidità e senso civico: l'obiettivo comune, oggi più che mai, è non disperdere quel patrimonio inestimabile rappresentato dalla Scala. Raggiungere questo traguardo riguarda anche i partiti di centrosinistra, chiamati dai milanesi a dare prova di maturità e capacità di governo. Se è vero che la dimensione aziendalistica non è in grado di individuare una via d'uscita per la Scala, perché anzi è uno degli elementi che complicano la situazione, sono le forze dell'opposizione che devono farsi carico della parte più costruttiva. Mettano in campo proposte, di uomini e di risorse. Lavorino, questi partiti, a stemperare le tensioni. La prospettiva del commissariamento non può essere ineluttabile. Né quella indicata dal centrodestra l'unica strada percorribile.il destino della Scala è anche nelle mani, e nell'intelligenza, di chi legittimamente sicandidaal governo della città.
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