Restauro, arma a due tagli Pia Capelli Libero 10 aprile 2005
Con la guida di Marco Ciatti, Direttore del Laboratorio di Restauro Dipinti Mobili dell'Opifìcio delle Pietre Dure di Firenze, entriamo nei misteri delle antiche tecniche di restauro, scopriamo le tecnologie del futuro e capiamo perché a volte le opere appena restaurate ' stonano" ai nostri occhi. «In Italia le opere d'arte si restaurano, in senso moderno, sin dal Seicento» ci spiega il professor Ciatti.
«Oggi le tecniche più antiche cadono progressivamente in disuso, altre vanno affinandosi, e nuove tecnologie, specie degli ultimi 30-40 anni di ricerca, consentono un approccio più scientifico rispetto al passato. L'obiettivo è utilizzare metodi sempre più rispettosi della natura dell'opera d'arte e avviare interventi più leggeri, mirati. Per quanto riguarda i dipinti murali, nel Settecento si è iniziato a staccare le pitture dai muri per spostarle su supporti mobili, tavole o tele. Questo avveniva sia per necessità pratiche, cioè per salvare dipinti che sarebbero andati distrutti (come nel caso dei centri medievali delle città smantellati nell'Ottocento), sia per provvedimenti conservativi, cioè preservarli dalle intemperie o combattere malattie che colpiscono l'intonaco, come la solfatazione, che lo trasforma in gesso e ne rende facile la distruzione» prosegue Ciatti.
«Due sistemi sono stati in uso per secoli: lo "stacco" e lo "strappo"».
«Entrambe le tecniche», continua Ciatti, «sono state quasi del tutto abbandonate a par tir e dagli anni Sessanta: sono processi molto invasivi, devastanti, che infliggono alla pittura pesanti alterazioni. Tra Sette e Ottocento se n'è malamente approfittato e sono stati staccati affreschi per questioni commerciali, per poterli immettere sul mercato antiquario. Un meccanismo che ha impoverito il nostro patrimonio artistico permettendoilttasferimento all'estero dei dipinti staccati. Oggi gli affreschi si staccano solo in casi rarissimi. La tendenza è un restauro in situ che risani gli intonaci e conservi opera nel luogo per cui era stata pensata».
Anche per quanto riguarda il restauro di dipinti mobili, cioè tele e tavole, l'Italia detiene un primato mondiale di eccellenza assoluta. Ancora Ciatti: «Abbiamo i restauratori più bravi del mondo, da tutto il mondo ci mandano capolavori da salvare. In questi anni stanno emergendo tecniche sempre più interessanti: c'è una grande evoluzione nei sistemi di pulitura. Con nuovi materiali estremamente sicuri e facili da dosare siamo in grado di rimuovere i residui sovrapposti ai dipinti e alterati nel tempo. Dove una volta si usavano solventi aggressivi, oggi abbiamo ampi margini di sicurezza: riusciamo per esempio a eliminare le aggiunte posteriori senza danneggiare il pigmento originale. I nuovi sistemi prevedono l'uso di enzimi, di sostanze a base acquosa, di "resin soaps" di sintesi in grado di legarsi solo ad alcuni materiali lasciando intatti gli altri. Sulle tele restaurate in passato con colle proteiche, che si sono poi alterate scurendo o appannando il dipinto, oggi si usa la proteasi, che "mangia" via solo il materiale proteico e non la vernice usata dall'artista. Da vent'anni sono poi allo studio nuovi tipi di laser, che funzionano già molto bene sui materiali lapidei e sul bronzo. Per i dipinti si stanno sperimentando ora emissioni laser più soft, più regolabili e "morbide", adatte anche alle pitture più delicate».
In epoca di grandi mostre, sempre più spesso le opere esposte escono da un restauro ad hoc, e Ogni tanto l'occhio del visitatore ha un'impressione di vividezza innaturale. «Vado controcorrente» premette Ciatti «e dico che Oggi si fanno troppe mostre. Siccome fa chic dire che questo o quel pezzo è stato restaurato per l'occasione, si finisce per restaurare troppo, e velocemente. Ma un lavoro ben fatto richiede anni: deve partire da un progetto di ricerca, dall'analisi dei materiali e dall'esame iconografico dell'opera. Quando un quadro vi colpisce per l'aspetto troppo nuovo e vivido, può voler dire che siete davanti ad un restauro frettoloso. In altri casi però sono stati fatti male i restauri precedenti: le ultime puliture portano soltanto alla luce danni passati. Che hanno acceso troppo i colori o consumato zone di pigmento con materiali abrasivi». Il mio motto, conclude il direttore del Laboratorio di Restauro, è: restauriamo meno, ma restauriamo meglio! In fondo nessuno ci obbliga a restaurare tutto: se un'opera non chiede aiuto a gran voce, meglio lasciarla com'è piuttosto che intervenire senza la calma necessaria. Ricordiamocelo, il restauro ha comunque una conseguenza drammatica: cambia per sempre l'aspetto di un'opera. •
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