Palazzo Grassi; il mondo della cultura perplesso sull'operazioni. Sara D'Ascenzo Corriere del Veneto, 3 aprile 2005
VENEZIA — Marco Goldin, ex uomo d'oro di Ca' dei Carraresi a Treviso, lo dice senza pudori: «Ambienti veneziani si sentivano maggiormente "garantiti" dalla "nobiltà culturale" di Francois Pinault e di Jean Jacques Aillagon, piuttosto che da quella dei Terruzzi». Ovvero: nella battaglia delle ultime ore sul controllo di Palazzo Grassi, finita almeno per ora con la «vittoria» del francese sull'ex re del nichel lombardo, avrebbe pesato anche il pregiudizio su Terruzzi e sulla sua collezione. Una collezione difesa a spada tratta da Vittorio Sgarbi come «l'unica possibilità per Venezia di ritornare in possesso di capolavori dell'arte classica nati a Venezia e per Venezia» come Canaletto, Guardi, Amigoni. Ma che non sarebbe bastata ad abbattere alcune snobistiche resistenze. Di più. A un passo dall'ingresso in laguna di Pinault, il mondo dell'arte e della cultura non firma deleghe in bianco al magnate francese. E aspetta al varco l'amministrazione uscente, accusata di essersi imbarcata nell'affare «senza un progetto» (Marco De Michelis), «con il rischio di una programmazione scoordinata» (Francesco Bonami). «La collezione di Pinault è una collezione veramente importante, di arte contemporanea nel vero senso della parola, museale — dice Bonami, ex curatore della Biennale e ora direttore artistico del Centro d'Arte contemporanea di Villa Manin a Passariano — l'importante è che la possa gestire in completa autonomia, senza nessuna confusione». Ovvero: senza l’ipotesi-spezzatino prospettata con i Terruzzi: «Se al primo piano c'è Pinault — spiega Bonami—e al secondo c'è la programmazione scoordinata che spesso si vede nei musei civici veneziani, diventa un problema. E poi è importante lo scopo. Se Pinault dovesse farne uno show room — ipotesi prospettata, ndr — sarebbe un disastro, ma non credo, visto che non ha mai mescolato la sua passione per l'arte con affari legati alle griffe». Più duro De Michelis, preside della facoltà di Design e Arti all'Iuav: «Quest'ultimo capitolo è la conferma di un pasticcio: prima annunciano di avere per le mani la più grande collezione d'arte antica. Ora la più grande collezione d'arte contemporanea. Il punto è che non c'è un progetto, è tutto casuale. Rimane un'operazione senza senso quando poteva essere un'operazione incredibile. Venezia, a differenza delle altre città europee, non ha una strategia sull'arte contemporanea: basta vedere la Biennale, che non riesce a sviluppare una sinergia con la città. Fin dai tempi dell'assessore Mossetto un ragionamento sulla città non è stato fatto: la priorità era il sistema museale veneziano». Invoca «qualcosa di più innovativo» Giorgio Ca-muffo, graphic designer, consulente di Fabrica: «Non mi piace il concetto delle grandi mostre, delle grandi collezioni: se funziona, Pinault farà quello che ha fatto la Fiat, ma sarà ancora una volta una cultura estranea a questa città e al contemporaneo, buona solo per i turisti». Eccezioni di metodo arrivano anche da Massimiliano Fuksas, ex direttore della Biennale Architettura: «È un metodo folle: Palazzo Grassi l'avevano comprata gli Agnelli e l'avevano fatto funzionare benissimo. L'amministrazione la compra a basso costo e che ci fa? La promette prima a una famiglia ancora a basso costo, poi la cede in affitto a basso costo a un francese! D'accordo non essere un Paese patriottico, ma nessuno si sognerebbe di vendere a uno straniero l'Orangerie!». Unanime, invece, il giudizio sulla collezione Terruzzi, a conferma del teorema-Goldin: «A meno di eccezioni, le collezioni generaliste come quella di Terruzzi, non reggono da sole, devono essere integrate in musei», dice De Michelis. «È una di quelle idee che non si capisce da dove vengano — insiste Bonami — Venezia ha già un patrimonio antico per cui la gente viene. Non ho capito che valore aggiunto avrebbe potuto dare». Quanto all'impronta che la collezione Pinault potrebbe dare a Palazzo Grassi, Goldin dice la sua: «La collezione è sicuramente interessante. Resta da capire se attorno si costruirà veramente qualcosa. Se si è trattato solo di "eliminare" la famiglia Terruzzi per arrivare ai francesi questo diventerà un limite. Palazzo Grassi indirizzato al contemporaneo sarebbe una grandissima novità, dubito però che sarà così. Se è vero, come ha detto il sindaco Costa, che Palazzo Grassi deve rimanere luogo di mostre di successo, con un numero di visitatori alto, l'apertura incondizionata al contemporaneo non va in questa direzione».
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