L’allarme degli Stabili: fondi insufficienti Martina Zambon Corriere del Veneto, 3 aprile 2005
II convegno di Venezia. De Fusco: «Disagio generale» «Soldi per il teatro In Europa siamo il fanalino di coda»
Ieri all'Ateneo Veneto di Venezia si è discusso dei principali problemi del teatro pubblico nella tavola rotonda «La scena d'Europa. Colloquio internazionale del teatro pubblico», organizzata dall'Antad, l'associazione dei teatri pubblici stabili, e dal Teatro Stabile del Veneto. La devolution al teatro fa più male che bene. Questo il punto che ha messo d'accordo tutti, dal direttore generale per lo Spettacolo del Ministero, Salvatore Nastasia, ai direttori dei teatri stabili italiani passando per l'avvallo indiretto di illustri ospiti europei al convegno «La scena d'Europa. Colloquio internazionale del teatro pubblico» ospitato ieri dall'Ateneo Veneto di Venezia. Il serrato confronto fra i diciassette rappresentanti del mondo del teatro pubblico ha riportato sotto i riflettori i mali cronici che affliggono il teatro che si sostiene con finanziamenti pubblici. In cima alla lista delle doglianze, ca va sans dire, la coperta troppo corta dei fondi. Fra i punti nodali anche i complessi rapporti fra molteplici committenti, governo centrale ed enti locali e la compartecipazione privata. Dopo le riforme costituzionali anche il comparto dello spettacolo diventa a competenza regionale con pressioni più forti per un legame stretto con il territorio. Infine, non ultimo, il problema della ridefinizione di un ruolo più preciso per i teatri stabili con un'apertura più decisa alle produzioni di qualità in grado di «rendere» anche sul piano economico tentando la conquista delle piazze nazionali ed europee. «Il Teatro Stabile del Veneto — commenta il presidente Luca De Fusco — è spesso oggetto di violente critiche, credo che le testimonianze nazionali ed internazionali ascoltate in questa sede spazzino il campo da ogni dubbio: il disagio è generalizzato, non è una peculiarità veneta». Secondo De Fusco è la mission del teatro stabile che deve essere ritrovata. «Non possiamo continuare ad essere strattonati in direzioni opposte dai finanziatori — spiega — da un lato il ministero che giustamente ci chiede produzioni di alta qualità che possano sostenere molte repliche, dall'altro gli enti locali che ci chiedono produzioni legate al territorio, dalle carceri al teatro per ragazzi, passando per il mondo della disabilità. Ogni teatro stabile dovrebbe specializzarsi non possiamo arrivare all'omologazione».
FINANZIAMENTI —Un numero secco, 0,4 per cento del prodotto interno lordo, e un confronto che non lascia spazio a dubbi, una media intorno all'1,7 per cento per i Paesi trainanti in Europa come Francia e Germania. «Lo 0,4 per cento del Pii italiano è destinato ai Beni e alle attività culturali — commenta Alberto Francesconi, presidente dell'Agis — vale a dire che il paese con il patrimonio più ricco dal punto di vista artistico destina a questa grande ricchezza una percentuale delle sue risorse più vicina allo zero che all'uno. Facile immaginare quanto di questo quasi zero finisca a finanziare lo spettacolo». Ad acuire la situazione anche il posto di primo piano che riveste il comparto della lirica italiana che, da solo, assorbe il 50 per cento delle esangui risorse stanziate. Con un rilievo internazionale, certo, ma al teatro e allo spettacolo restano solo i bruscolini. «Ci stiamo avviando ad essere il fanalino di coda dell'Europa — conclude Francesconi — eppure nel comparto dello spettacolo lavorano 200mila persone». |