Decapitato il minareto di Samarra Marco Guidi Il Messaggero 2/4/2005
Il brutto della barbarie è che spesso è inutile per quegli stessi che la commettono. Dal martoriato Iraq arriva un nuovo segnale tremendo, stolido, feroce e ingiustificato. Ribelli iracheni hanno fatto saltare la parte superiore del grande minareto Malwiya di Samarra. Un minareto unico al mondo, costruito a pianta elicoidale. Una pianta che, secondo molti studiosi, ricordava quella delle antichissime ziggurat babilonesi e anche (più probabilmente) i grandi templi del fuoco della religione di Zoroastro, che ha preceduto in Iraq la venuta dell’islàm. La causa della distruzione, secondo la polizia irachena, è dovuta al fatto che gli americani avevano piazzato sul grande minareto un posto di osservazione e dei cecchini, che dominavano la città di Samarra da sempre ribelle verso le truppe occupanti e il governo di Bagdad. Peccato che gli americani dal 17 marzo avessero abbandonato, anche per l’insistenza delle autorità irachene, il minareto, alto 52 metri, che si erge sull’impressionante campo di rovine che un tempo fu la più grande moschea del mondo, quella costruita dal califfo al Mutawakkil quando Samarra fu per breve periodo la capitale del grande califfato abbasside, che dominava dai confini dell’India al deserto del Gobi, dall’Arabia all’Africa, fino all’oceano Atlantico. Quei califfi nel nome dei quali la Sicilia veniva conquistata e dal cui dominio la Spagna si era appena distaccata. Samarra deriva il suo nome dall’espressione araba: «surra man ràa», che significa «chi la vede si rallegra». Samarra fu fondata poco dopo l’anno 800, tra l’834 e l’836 (anno 220 dell’Egira), dal califfo abbasside al Mutasim, un grande guerriero e un grande sovrano che decise di lasciare Bagdad per creare una nuova capitale. Una capitale meno riottosa al suo dominio e soprattutto meno frequentata dalle milizie turche che, sebbene convertite all’islàm, si dimostravano fin troppo indipendenti. Fu capitale per un breve periodo, dall’835 all’892, ma fu una città splendida i cui resti calcinati dal tremendo sole iracheno costituiscono ancora oggi uno spettacolo. Uno spettacolo che lascia senza fiato se si salgono i 52 metri del minareto elicoidale. Una costruzione unica per l’islàm che l’Unesco aveva deciso di aggiungere al patrimonio dell’umanità. Un minareto che costituiva il punto dominante della grande moschea, costruito da maestranze iraniche e locali dal califfo al Mutawakkil, successore di al Mutasim. Tutt’intorno sorsero magnifici palazzi, tra cui quello chiamato Dar al Amir al Muminin (casa del comandante dei Credenti), che occupava qualcosa come 125 ettari. Dopo l’abbandono da parte dei califfi Samarra decadde e quando il piccone dell’archeologo cominciò a scavarla, agli inizi del XX secolo, poco di lei era rimasto in superficie. Ma il minareto Malwiya continuava a ergersi possente ma tuttavia snello con i suoi cinque grandi piani sormontati da una costruzione a baldacchino che doveva ospitare il muezzin. Un baldacchino, che è stato completamente demolito dall’esplosione, che ha anche danneggiato l’ultimo piano, mentre bisognerà attendere per capire se anche le altre parti del minareto hanno subito danni seri. Samarra, al centro del triangolo sunnita, a 120 chilometri a Nord di Bagdad, è abitata da una forte comunità sciita (per gli sciiti Samarra è una città santa come Najiaf e Kerbalah) e al suo interno sorge la grande moschea sciita dell’imam Alì al Hadi, uno degli imam in cui credono gli sciiti (morto nell’868). In tempi recenti Samarra ha conosciuto il pesante intervento delle truppe americane, che hanno combattuto vere e proprie battaglie contro i guerriglieri sunniti. E nel dicembre scorso la città fu al centro di una insurrezione repressa con estrema durezza dagli americani. Oggi Samarra è solo il sabbioso e polveroso ricordo della grande città di un tempo. Anche i floridi palmeti che circondavano e facevano da quinta per la cupola dorata della moschea dell’imam Ali el Hadi sono un ricordo del passato. Adesso la guerriglia sunnita ha cercato di rendere un ricordo anche lo splendido minareto che da 1.200 anni domina la pianura.
Le ultime: il ponte di Mostar, i Budda di Bamiyan L’Acropoli di Atene nel V secolo a.C. ad opera dei Persiani, poi Persepoli per opera di Alessandro, poi la Biblioteca di Alessandria e i sacchi di Roma. Il passato è stato pieno di distruzioni eccellenti che hanno sfregiato la bellezza e la cultura del mondo. Distruzioni che si pensavano relegate in un lontano passato. Purtroppo non è stato così. I tempi moderni ci hanno riportato la barbarie, spesso consapevole, contro monumenti, biblioteche, musei. I primi segnali (dopo quelli della Seconda guerra mondiale: Montecassino, Dresda) sono arrivati dalle guerre della ex Jugoslavia. Era il 9 novembre 1993 quando un generale croato ordinò ai suoi cannoni di distruggere il bellissimo ponte di Mostar. Costruito nel Cinquecento da Solimano il Magnifico il ponte fu sbriciolato dalle cannonate croate. E per fortuna il ponte è stato ricostruito com’era e dov’era e rinaugurato il 23 luglio 2004. Ma in realtà si tratta di una copia, fedele ma pur sempre non dell’originale. E le guerre della ex Jugoslavia hanno segnato distruzioni a non finire: monasteri serbi in Kosovo e soprattutto la biblioteca di Sarajevo distrutta dai serbi. Da quei serbi della montagna feroci come se i secoli non fossero passati. E poi ecco un’altra distruzione questa volta nell’Afghanistan dei talebani che nel marzo del 2001 fecero saltare i giganteschi Budda di Bamiyan. Un insulto compiuto in nome del loro islàm, un islàm cupo, gretto, legalista, letterale. E come non ricordare il saccheggio del museo archeologico di Bagdad (e prima quello di Beirut). Commesso sotto gli occhi indifferenti degli americani.
|