Nel braccio di Buonarroti c'è la prova Mauro Lucentini La Stampa 2/4/2005
Dire che Michelangelo era un falsario non è calunniarlo: lo racconta Vasari e lo ammise lui stesso, quando il cardinale Riario, nipote di Sisto Quarto, si fece rimborsare il prezzo che aveva pagato per un delizioso Cupido che lo scultore fiorentino aveva scolpito, invecchiato con incrostazioni di terra e smerciato come opera antica di scavo. L'immensa sorpresa, piuttosto, sarebbe se veramente il Laocoonte, sempre creduto suprema espressione dell'ellenismo, e uno dei ritrovamenti archeologici più sensazionali di tutti i tempi, fosse invece anch'esso di Michelangelo. A pensarci bene, l'idea non è affatto implausibile. Al tempo del Cupido lo scandalo fu molto relativo e Michelangelo, allora ventunenne, non ne subì ulteriori conseguenze perché non si andava allora tanto per il sottile e le frequenti truffe artisti-che potevano essere prese persino come supplementari manifestazioni d'ingegno. Michelangelo se ne vantava, dicendo di aver «invecchiato» anche certi disegni. Questo tipo di attività era tanto normale che secondo altre fonti era stato un membro della famiglia dei Medici, Lorenzo di Pierfrancesco, a suggerirla a Michelangelo; i suoi marmi, diceva, sarebbero valsi di più. Il clamoroso ritrovamento delLao-eoonte da parte di Felice De Fredis (archeologo dilettante che per questo divenne fampso, come dice la sua lapide mortuaria nella chiesa dell'Ara Coeli) avvenne otto anni dopo la vicenda del Cupido, nel 1506. Se a qualche artista nel Rinascimento, diciamo a Michelangelo, fosse venuta l'idea di «ritrovare» o «far ritrovare» a scopi truffaldini una celebre opera antica perduta, il Laocoonte sarebbe stato il candidato più naturale. Plinio il Vecchio, infatti, nella sua Historia Naturalis parlava del Laocoonte nel Palazzo di Tito come della scultura più ammirata nella Roma dei suoi terrai e aveva descritto nei particolari il soggetto, d'altra parte ben noto perché tratto da un episodio dell'Iliade. Quando de Fredis (i cui eventuali rapporti con Michelangelo sarebbero ora da accertare) tirò fuori dal terreno - proprio nelle vicinanze del palazzo di Tito, che in precedenza era stato la Domus Aurea di Nerone -il gruppo scultoreo, Michelangelo si fece subito avanti ad identificarlo come quello descritto da Plinio e non ebbe dubbi nel dichiararlo autentico. Nessuno ci trovò nulla da ridire, incluso l'esperto ufficiale del Vaticano, Giuliano da Sangallo, quando il papa Giulio II acquistò l'opera per metterla nel cortile del Belvedere dove andava arricchendo la raccolta di capolavori antichi iniziata da anni proprio dal cardinale Eiario. Se la storia del falso è vera, essa risolve un altro mistero. Quando il Laocoonte fu tirato fuori gli mancava un braccio. Il papa lo fece restaurare da un altro scultore fiorentino, Giovanni Montorsoli, che gli applicò un braccio nuovo, facendolo tutto disteso al lato della testa. Michelangelo disse subito che il braccio andava non disteso, ma ripiegato, anzi abbozzò quello che, secondo lui era il braccio giusto e lo mise da un canto. A quell'epoca il braccio di Montorsoli non fu sostituito e nemmeno in seguito, per quattro secoli. Nel 1905, il vero braccio, quello originale, fu ritrovato nella zona dello scavo e alcuni anni dopo fu finalmente riunito alla statua: esso era identico a quello abbozzato da Michelangelo. Come aveva fatto il grande artista a sapere? A quell'epoca si disse che Michelangelo era stato guidato da un istinto, quasi soprannaturale. Adesso, se Lynn Catterson ha ragione, si potrebbe dire che aveva semplicemente rifatto un pezzo della sua statua. Quello della Catterson è il secondo rivoluzionario intervento nella storia di Michelangelo che arriva dagli Stati Uniti. Nel 2002, un altro americano, Rab Hatfield, il quale si era dato la pena di ricercare e di ritrovare a Firenze gli antichi conti in banca di Michelangelo, ha anunciato in un libro che lo scultore, noto per essere estremamente taccagno, era ricchissimo, uno dei più ricchi artisti della storia. Non stupisce, se Michelangelo accanto alla camera di scultore ne avesse condotta anche una di falsario. |