Infrastrutture e debito pubblico A. Ronchey 01-APR-2OO5 CORRIERE DELLA SERA
«L'eccesso della contumelia — come a suo tempo avvertiva De Gasperi — uccide la contumelia stessa». Ora le menti più eccitate, nelle costanti querele sulla politica economica del governo, sembrano ignorare quel semplice buonsenso. Eppure, sarebbe il momento di riflettere con calma su fatti e cifre ' dopo la revisione della regola Uè che fissava il 3 per cento del Pii come limite massimo ai disavanzi annuali di bilancio. La tolleranza ottenuta può consentire qualche minimo sollievo alla finanza pubblica dell'Italia che arranca, mentre secondo le ultime verifiche Istat l'aumento del prodotto lordo nel 2004 ha raggiunto appena l'1 per cento: «Meno che metà della media europea», come osserva la Herald Tribune. La flessibilità dei disavanzi, che tanto ha rallegrato Silvio Berlusconi, non potrà superare il 3,5 per cento e sarà temporanea con l'obbligo di rientrare nei parametri di Maastricht in tre anni. Secondo i primi calcoli, «per l'Italia tutto ciò si tradurrà in un margine di 4-5 miliardi di euro in più nel 2005» (Corriere, 4 marzo).
Se per l'annunciata riduzione delle tasse nei prossimi anni s'impongono comunque tagli della spesa corrente, il governo avrà poche risorse in più per l'investimento pubblico, da maneggiare con cura. Secondo quali priorità? Finora, dopo la deliberazione del 23 marzo a Bruxelles, è mancato a Roma un preciso indizio sulle opere infrastrutturali che meritano qualche soccorso urgente. Opere pubbliche a breve termine, beninteso, non pubblicitarie a tempo differito nel remoto futuro. L'attesa di ragguagli è motivata fra l'altro dalla circostanza che la Corte dei Conti segnala penuria di stanziamenti e scarsità di cantieri aperti rispetto ai programmi, arretratezza dei lavori e insufficiente selezione delle priorità, mentre le banche non sembrano inclini a rischiare sulla «re-muneratività delle grandi opere» {Repubblica, 23 marzo). È possibile, almeno, ridurre qualche ritardo nell'avanzamento dei lavori essenziali? Sarà l'ora di precisare, anziché auspicare o vaticinare. Certo nessuno può immaginare, neanche in sogno, che sia recuperabile il tempo perduto dalle ferrovie italiane rispetto alla diffusione di quel Tgv o Traiti à grande vi-tesse che dagli Anni 80 ha cambiato la vita ai francesi, due ore da Parigi a Lione, tre ore e 15 minuti fino a Marsiglia e a Francoforte, meno di un'ora fino a Lillà. In Italia, ora s'annuncia che sulla Torino-Milano è completa la tratta Santhià-Novara. Poi si vedrà. Dopo l'infelice ritardo per quasi trent'anni e le promesse di «grandi opere» negli ultimi anni è tuttavia ragionevole chiedere informazioni su quanto per davvero si può fare, in quanto tempo, con quale spesa, noti solo per l'alta velocità ferroviaria ma per la rete convenzionale in usura, oltreché per altre vitali e disparate infrastrutture. Riguardo invece a; più onerosi e vistosi progetti, è davvero indispensabile per esempio quel favoloso ma controverse ponte sullo Stretto d Messina? Rimane in ogni case l'obbligo di ridurre l'abnorme debito pubblico italiano, pari al 105,8 pei cento del Pii. Ogni tentazione di cedere all'inerzia fra interessi conflittuali o alla millanteria contabile sarebbe calamitosa, oltreché scandalosa per gli altri europei Qualcuno, in Italia, dovrebbe seguire l'esempio di quel contribuente americano che ha installato a Manhattan presse Times Square un monumentale orologio per segnalare ogni giorno il debito pubblico degli Stat: Uniti. Con maggior motivo a Roma, fra tanti enormi cartelli pubblicitari sulle facciate in restauro dei palazzi storici, un simile display sarebbe quanto mai utile E governati e governanti.
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