Senza identità non si attirano i turisti Daniele Pitteri la Repubblica - cronaca Napoli 31/3/2005
L' ennesimo calo dei flussi turistici registratosi nel lungo week-end di Pasqua mette a nudo una serie di debolezze strutturali e culturali dell'offerta turistica napoletana, tali da inibirne una crescita articolata e fruttuosa, a discapito, anche, delle iniziative di varia natura che ultimamente si stanno susseguendo (grandi mostre, nuovi poli museali, massicci interventi pubblicitari e promozionali) . La prima e più macroscopica debolezza è di natura tipologica. Napoli punta su un'offerta di ordine generalista, che — nel panorama attuale — non ha ragione d'essere, perché il prodotto turistico assume sempre più conformazione specialistica, mirata a target di pubblico. In pratica, non si compra più una città. Si compra, e si vende, un insieme molto articolato e complesso, che ha dentro anche — ma non necessariamente — la città (si veda ad esempio Bilbao, dove i fattori determinanti sono altri). Soltanto pochissime città al mondo possono porsi sul mercato del turismo in maniera piana e, almeno in apparenza, generalista: Roma, Firenze, Venezia, New York, Parigi. Luoghi che hanno costruito nel corso del tempo (in alcuni casi in modo fortuito e non pianificato) un'identità totale, talmente forte, identificabile e precisa da assumere le medesime caratteristiche di un brand globale. Nessun altro luogo si vende in quanto luogo. Si vende sempre per un insieme di caratteristiche e di offerte differenziate che, tutte assieme, ne determinano l'unicità. Napoli, dunque, sotto il profilo turistico deve costruire una propria identità, divenendo significativa di "un qualcosa particolare", per cui si possa pensare a essa per quel motivo di natura identitaria. Non può permettersi di offrire soltanto se stessa. Ciò che offre è troppo generico ed è (ecco una seconda debolezza dentro la prima) troppo fragile rispetto alle medesime offerte dei principali competitor italiani (le altre città d'arte) e mediterranei. Si badi: non si tratta di una questione qualitativa assoluta, ma di una questione interna al panorama dell'offerta turistica mondiale. In tal senso, allora, basta una natura pur straordinaria e bellissima, ma di difficile accesso e di improbabile fruizione (per andare al mare bisogna uscire dalla città, a Barcellona il mare è lì) a fare da richiamo? Bastano alcune grandi mostre, ancorché molto fortunate, a differenziare da città come Roma, Venezia e Firenze che di mostre così ne fanno da decenni? Bastano i nostri musei a qualificare la città come luogo unico, quando pagano ancora lo scotto di un'entrata in ritardo sul "mercato" dei musei oltre a denunciare, in molti casi, deficit strutturali e fruitivi? Basta un centro storico di assoluto valore e tuttavia poco accogliente e urbanamente poco arredato rispetto alla media dei centri storici italiani a dotare di imprinting unico la città? Bastano alcune iniziative interessanti e valide e tuttavia troppo dispersive sotto il profilo tematico come la Città della Scienza o l'Acquario della Villa Comunale o il Pan (la cui natura non è ancora conformata a sufficienza) ad attrarre un turismo consapevole e attento? Domande retoriche. D'altra parte, alcune nuove iniziative tese a "confezionare" il prodotto turistico Napoli, palesano e rafforzano la medesima inadeguatezza. Si punta a prodotti "non identificativi" per quanto corretti (museo d'arte contemporanea di Donnaregina) ; a iniziative di cui il mercato europeo abbonda, quindi ad alto rischio fallimento (l'acquario di Vigliena) e allo stesso tempo si tralasciano altre iniziative più "fruttifere" sotto il profilo della qualificazione dell'offerta, come ad esempio il rafforzamento — senz'altro diffi- cile — del museo Archeologico, l'unico in grado di divenire un polo attrattivo originale per contenuti (la collezione Farnese, la sezione egizia, il gabinetto segreto, solo per citarne alcuni), ma bisognoso di una rivoluzione espositiva e fruitiva (edutaiment, virtua-lizzazioni, percorsi tematici), tale da avvicinarlo a tipologie di pubblici articolate. Debolezze le denunciano anche l'imprenditoria e la politica che identificano ancora nella centralità delle strutture di accoglienza le condizioni essenziali per lo sviluppo turistico. Sono importanti, ma non rappresentano il nodo centrale, così come non lo rappresentano le infrastnitture, anch'esse necessarie, ma sempre secondarie all'attenzione al prodotto, dalla quale discendono una serie di "attenzioni" successive: osservazione, studio e classificazione dei pubblici, per capirli, precederli, organizzare un'offerta capace di soddisfarli; costruzione di una filiera produttiva di tipo tradizionale, che trovi la propria centralità nel turismo e che, muovendo da esso, sviluppi mercato seguendo i pubblici del turismo. Le azioni, le iniziative e le attività intraprese dagli enti locali, in particolare dalla Regione, sono certamente interessanti. Tuttavia, per quanto lodevoli, queste iniziative soffrono l'equivoco di una cultura del turismo antica e superata, rudemente ancorata ai grandi manufatti e ai grandi investimenti, crudamente segnata da una concezione attrattiva "del luogo in sé", che oggi non esiste più (ad esempio: come osserverà il turismo l'Osservatorio Turistico?). Se non si agisce con la consapevolezza che il "territorio" ha anche una dimensione di prodotto che vive interamente dentro il ciclo industriale della domanda e dell'offerta e che le istituzioni e l'imprenditoria devono assecondarlo "con/formandolo", dandogli cioè la forma e la sostanza di prodotti diversi per pubblici diversi, se non si agisce in tal senso annoteremo per molto tempo ancora cali preoccupanti di flussi turistici.
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