Vetrate, porti, torri e cortili: architettura come paesaggio Danilo Maestosi Giovedì 31 Marzo 2005 Il messaggero
Difficile per l’architettura di oggi raccontarsi al di fuori della cerchia elitaria degli addetti ai lavori. Troppo complesso il suo cifrario, troppo forte è divenuto lo scarto che la separa dalla platea dei suoi stessi utenti. Eppure la mostra che la Direzione architettura dei Beni culturali ha dedicato a due tra i più noti progettisti italiani del dopoguerra, Aimaro Isola,79 anni e Roberto Gabetti,morto 6 anni fa, e ospita da oggi fino al 22 maggio nell’ex carcere minorile del S.Michele (via di S.Michele a Ripa 25, ingresso gratuito) a suo modo ci riesce. Merito dell’allestimento, che è già di per se un efficace biglietto da visita: il lungo corridoio delle celle pavesato di fettucce di tutti i colori che evoca e allo stesso tempo cancella la lugubre memoria del correzionale dove i giovani detenuti scontavano la pena tessendo stoffe; lo spazio scandito da tavoloni di lavoro, modellini plastici, piante e foto appese ai muri a simulare il caos artigianale e creativo che da mezzo secolo caratterizza questo prestigioso studio. Ma ancor più merito dell’irruzione del linguaggio coinvolgente di altre discipline artistiche nella passerella d’esposizione. Prima che sulle mappe e sulle planimetrie lo sguardo si posa sulle tele e sui fogli dipinti ad acquarelli che anticipano l’idea di partenza o condensano il risultato finale d’ogni progetto. E ad arricchire il percorso una antologia di statue scolpite nel legno da Hilario Isola, uno dei figli del fondatore, e dal suo giovane collega Matteo Norzi, che sviluppano in intriganti siparietti il tema inquietante del carcere e del lavoro minorile: c’è persino appeso all’esterno un pupazzo di legno che suggerisce un’impossibile evasione. Insomma una mostra a tutto tondo, che riporta il visitatore all’architettura offrendogli tutte o quasi le chiavi per interpretarla. Misurarne le costanti. L’attenzione per la natura che torna in molti progetti: il museo archeologico di Torino infossato sotto un prato, oblò di rovine e tesori sepolti; il master plan del parco Ottavi di Reggio Emilia che ricuce senza strappi e con molta attenzione al verde un vasto spazio di risulta di periferia tagliato dalla ferrovia ; i porti di Livorno, Pisa, Varazze che dialogano con il mare, lo sbocco dei fiumi, i boschi circostanti, la città antica; il complesso residenziale all’isola d’Elba, case a blocco di mattoni tagliate da rampe e sentierini asimmetrici che si fondono con la collina alle spalle. E poi la logica e la vena «poetica» che lega insieme ogni dettaglio: i misteriosi finestroni ad arco che rompono l’austera semplicità del monastero delle carmelitane realizzato a Quart in val d’Aosta; i colori che segnano e ravvivano le torri di un grande ospizio per anziani; le facciate a mosaico di tanti edifici; la foresta di vetrate e pilastri del museo d’arte moderna di Benevento che evoca il labirinto di palazzi distrutti dai borbardamenti dell’ultima guerra; l’intreccio di prospettive e punti di fuga con cui il grande cortile a rombo del complesso Ibm di Segrate appena inaugurato dialoga con l’esterno. L’architettura come paesaggio : il titolo della mostra diretto come un manifesto d’intenti indica la cifra più originale di questo eclettico studio di autori.
|