L’ex manager dell’Egizio finisce davanti al giudice Giorgio Ballario Stampa – Torino 24/3/2005
Il progetto di adeguamento alle norme antincendio era pronto, con tanto di approvazione del comando provinciale dei vigili del fuoco. Ma è rimasto in un cassetto. E i soldi stanziati nel ‘98 dal Ministero dei Beni Culturali, circa 600 mila euro, non sono mai stati utilizzati. L’ex soprintendente del Museo Egizio, Anna Maria Roveri Donadoni, è comparsa ieri in Tribunale per rispondere di «omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro”: un’accusa grave perché presuppone il dolo, cioè la volontà di compiere il reato. La prima udienza, che si svolge davanti al giudice Giuseppe Casalbore, è servita solo per inquadrare il processo e sbrigare le normali formalità di rito. Poi il giudice ha disposto un rinvio al 22 luglio, quando il dibattimento entrerà nel vivo con l’audizione dei primi testimoni. Per vent’anni alla guida del più famoso e importante museo torinese, Anna Maria Donadoni (andata in pensione lo scorso anno) è incappata nell’inchiesta aperta nel 2001 dai pm Raffaele Guariniello e Nicoletta Quaglino. La Procura si era mossa all’indomani dei misteriosi e ripetuti malori accusati da alcune scolaresche in visita al palazzo di via Accademia delle Scienze. Le ispezioni dei vigili del fuoco, oltre ad accertare qualche problema di ventilazione nei locali, hanno però fatto emergere gravi inosservanze in materia di norme sulla sicurezza e impianti antincendio. Di qui l’inchiesta penale avviata da Guariniello e la temporanea limitazione del numero di visitatori, non più di cento in contemporanea. Accertamento dopo accertamento, le indagini hanno però preso una brutta piega. Gli inquirenti hanno infatti scoperto che le violazioni erano note da tempo ai vertici del museo, tanto che già nel 1998 il Ministero aveva stanziato un miliardo e 120 milioni di lire per mettere a norma l’Egizio. Era stato realizzato un progetto di adeguamento e il comando provinciale dei vigili del fuoco aveva dato il nulla osta. Dopo di che non si è più fatto nulla. Di qui l’accusa di aver volontariamente omesso di adottare le indispensabili misure di sicurezza, mettendo a repentaglio la salute di dipendenti e visitatori e a rischio la conservazione stessa dei preziosi reperti archeologici. Un reato che prevede pene che vanno da 6 mesi a 5 anni di reclusione. «Che all’Egizio ci fosse qualche magagna è innegabile - replica l’avvocato Alessandro Mazza, che insieme al collega Umberto Giardini difende la Donadoni - ma non c’era nessun vero pericolo di incendio, altrimenti i vigili del fuoco l’avrebbero chiuso così come è stato fatto per l’Accademia delle Scienze. Quanto ai fondi ministeriali, la soprintendente aveva chiesto 6 miliardi per una ristrutturazione complessiva, ne arrivò soltanto uno che venne usato per effettuare lavori più urgenti».
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