Scala, Albertini fa largo al factotum della città Susanna Marzolla LA STAMPA 19-MAR-2005
Nella sala grande del Conservatorio tutti i milleseicento posti sono occupati, e qualcuno resta pure in piedi, quando alle 20,30, con puntualità scaligera, entrano gli «ammutinati». E tutti i presenti li salutano con una standing ovation: diversi minuti di applausi e grida «Bravi, bravi!», «Tenete duro!». A loro volta gli «ammutinati» applaudono il pubblico; i coristi, in alto sopra il palcoscenico, accennano a una «olà». Voleva essere un «ideale abbraccio alla città» questo concerto organizzato dai sindacati e dall'assemblea dei lavoratori della Scala. Lo è stato, ma è stato anche qualcosa di più: una eccezionale «prova d'orchestra», o meglio la prova che un'orchestra e un coro come quelli della Scala hanno un valore artistico in sé, indipendentemente da chi li dirige. «Sei meglio di Muti» gridano dal pubblico dopo l'esecuzione della sinfonia da «La forza del destino» di Verdi. Sorride con ironia il «maestro collaboratore» Marco Monari, che ha appena diretto il brano: in quell'incitamento, accolto dagli applausi, c'è tutto il messaggio che l'orchestra voleva dare; la prova della propria bravura. La stessa prova che da il coro eseguendo il brano «a bocca chiusa» dalla Madama Butterfly di Puccini. E dopo ogni brano sono applausi scroscianti, richieste di bis. E' palpabile la soddisfazione dei presenti, i musicisti e il pubblici, tutto solidale con gli '«ammutinati'», «questo concerto - dice il comunicato dei lavoratori, letto all'inizio dello spettacolo - avremmo voluto tenerlo nella nostra, nella vostra casa, il Teatro alla Scala, che sta vivendo un periodo difficile della sua gloriosa storia, fatta di arte, di cultura, di indipendenza, di democrazia. Un concerto per chi, come noi, come voi, non rinuncia si principi fondamentali della nostra storia». Una Milano solidale, di saldi principi (la Milano «antifascista e democratica», si diceva una volta) contrapposta a una Milano mercantile che ai principi ci bada sempre meno: il senso della lotta dei lavoratori della Scala, per chi è venuto al Conservatorio ad applaudire, è proprio questo. E al maestro Riccardo Muti, che nessuno nega essere un grande direttore, viene rimproverato proprio di essersi identificato con questa seconda Milano con il (qui) detestatissimo sindaco Gabriele Albertini. Il quale Albertini si trova adesso, obtorto collo, a cercare di ricucire un difficilissmo rapporto tra il direttore d'orchestra, il sevrintendente, gli amministratori e gli «ammutinati» del teatro. Per intanto ha chiesto al prefetto Bruno Ferrante - che già gli aveva fatto da mediatore con i tramvieri ribelli - di dargli una mano. Lo ha definito, invero, un semplice «assistente alla promozione del dialogo perche - sostiene -in questo caso non ha l'autorità necessaria per fare il mediatore». Però Albertini sa benissimo di non poter essere lui in prima persona a gestire i colloqui con i lavoratori: «Non lo riconosciamo come interlocutore», hanno detto senza mezzi termini i sindacati. E il prefetto, che li ha già convocati per lunedì? «Apprezziamo - dice Giorgio Roilo, segretario della Camera del lavoro di Milano - che l'interlocutore sia una figura istituzionale come il prefetto Ferrante, ma la riuscita o meno della mediazione dipenderà principalmente dalle aperture a cui sarà disponibile il consiglio di amministrazione della Scala».
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