Investire nell'arte? E' un buon affare p. l. f. La Stampa 18/3/2005
ROMA. Investire in cultura conviene». Sarà questo il titolo dell'imminente libro bianco del ministero per i Beni e le Attività Culturali che si prefigge di aprire gli occhi al Paese e cambiare le strategie degli investimenti. Insomma, spendere in cultura significherà spendere meglio e arricchire l'Italia. Lo ha anticipato lo stesso ministro Giuliano Urbani intervenendo ieri sera a Roma nell'ex Chiesa di Santa Marta alla presentazione della seconda edizione del Rapporto sull'economia della cultura in Italia 1990-2000. Per meglio riassumere i dieci anni presi in esame dal rapporto e il periodo successivo fino ai giorni nostri e per il prossimo futuro Urbani ha usato un esempio zoologico: «lo sviluppo del settore nel 1990-2000 è stato, ahimè, quello di una lumaca che si é mossa troppo lentamente anche se nella direzione giusta; dal 2000 ad oggi la lumaca é andata un po' più svelta; da oggi in poi è necessario un salto di qualità. Occorre spendere in cultura perché c'è una convenienza collettiva del Paese. E l'Italia non può perdere assolutamente questo treno. Altrimenti rischierebbe la decadenza». Il ministro ha ricordato che il turismo delle città storiche va a gonfie vele, ma è ancora incredibilmente sottovalutato: «a Venezia, ad esempio, tutti conoscono piazza San Marco e il ponte di Rialto, ma solo in pochi visitano le altre numerose meraviglie offerte dalla città lagunare». A suo parere, il turismo, che da oggi il 12% del PIL, può benissimo raggiungere in breve tempo anche il 16-18%. Il Rapporto sull'economia della cultura in Italia 1990-2000 è condensato in un ponderoso volume di 776 pagine, curato da Carla Bodo e Celestino Spada ed edito dal Mulino con l'Associazione per l'economia della cultura. Erano presenti anche specialisti come Sabino Cassese, Enzo Cheli, Paolo Leon, Pio Baldi e Sandro Cappelletto. Questi in sintesi i risultati nei quattro macrosettori esaminati nel rapporto: conservazione e valorizzazione dei beni culturali in forte sviluppo, crescita rallentata dello spettacolo dal vivo, lettori in calo e imprese più deboli nel settore editoria e mercato audiovisivo strozzato dal duopolio Rai-Mediaset. L'ambasciatore Boris Biancheri, presidente della Fieg e dell'Ansa, ha tenuto a precisare che nel decennio 1990-2000 l'editoria si é indebolita: i lettori di quotidiani sono rimasti 6 milioni come nel 1935. Ma rispetto a 70 anni fa sono lettori più «attivi» perché all'epoca il quotidiano rappresentava l'unica fonte di informazione, mentre oggi le notizie si possono apprendere in diversi modi (radio, tv, internet, ecc) e al quotidiano si chiede approfondimento, analisi, cultura in senso lato. Viceversa per Biancheri «è sbalorditivo» che sia quasi raddoppiato il numero di libri venduti in edicola insieme ai giornali. Infatti nel periodo 2000-2004 gli italiani hanno acquistato ogni anno 100 milioni di libri in libreria (esclusi quelli scolastici), mentre ben 80 milioni di libri l'anno sono entrati nelle nostre case attraverso le edicole. |