Quando la sinistra vuole occupare la Fondazione ENRICO CAVALLOTTI Il Tempo 04-MAR-2005
I MILANESI sono gente strana. Il sentimento d'orgoglio che nutrono a buon diritto nei confronti della Scala a volte si rovescia, d'un tratto, in un «cupio dissolvi». Il loro amore si contrae in un rovello auto-distruttivo che, mentre danneggia il tempio lirico - vanto della città e della nostra civiltà musicale - fa velo agli interessi culturali ed al prestigio artistico di tutto il Paese, di cui la Scala è un simbolo non ostanti le poco nobili lotte intestine cui assistiamo con senso d'amarezza profonda. Al momento il risultato del caos scaligero è il rischio di un dissesto culturale: ossia che Riccardo Muti abbandoni il podio meneghino e decida di prestare la propria opera all'estero: in un luogo ove la musica non sia strumento e vittima delle bischerate poste in atto dal sindacalismo più ottuso e da una pseudo-politica imbarbarita dal clima preelettorale. Già una volta, anni or sono, la Scala patì una sommossa dei cui esiti ebbe a pentirsi amaramente il mondo della musica: fu quando Claudio Abbado, accusato di non pagare le tasse e d'esser poco presente in teatro, fece le valigie e partì per Vienna e poi per Berlino: a capo dei Berliner Philharmoniker. Non è da meravigliarsene oltre modo, che noi italiani siamo da sempre i campioni del mondo non solo negli scioperi e nei proclami altamente demagogici ma anche nell'esacerbare e spingere oltre confine i nostri cervelli geniali. La pura verità risiede nel fatto irrefutabile che da anni Muti denuncia la situazione di graduale declino della Scala e lo scadimento della sua programmazione. Da tempo il maestro ha mostrata la propria netta contrarietà a ridurre un glorioso palcoscenico d'arte in un ospizio di musicals e di «Tosche» di Dalla; da tempo dichiara la propria insoddisfazione per cartelloni modesti e ancor più modesti interpreti. Il suo rapporto con l'ex soprintendente Fontana si è progressivamente deteriorato non già per ragioni personalistiche ma per una visione gestionale intollerabile dalla coscienza artistica del maestro. Il quale ha dimostrato una pazienza ed una tolleranza che sembrerebbero ad ingenui occhi forestieri condiscendenza e compromissione. A Muti è da lunga pezza che la sinistra fa la guerra, aperta o sotterranea: a lui che ha la colpa imperdonabile di non aver mai beccato nel pollaio progressista. L'altra sua colpa? Aver sollecitato il Consiglio d'Amministrazione a porre un rimedio alla crisi del Teatro. Ha proposto il nome di Mauro Meli, già direttore artistico dopo l'abbandono del compositore Paolo Arca. Ma contro Meli, già invitato da Claudio Abbado a «Ferrara Musica» e dalla Fiat ai concerti del Lingotto di Torino, e al Teatro lirico di Cagliari (sollevato non senza sacrifici economici ad un'impreveduta fama), si sono scatenate le sinistre congreghe con una serqua d'accoliti che sventolano impunemente la bandiera del decoro oltraggiato per l'allontanamento di Fontana e l'assunzione di Meli; e urlano, e cantano e fingono di scandalizzarsi utilizzando per la loro causa anche gl'immancabili utili idioti. Che cosa aspettano ad intervenire il sindaco Albertini, il ministro Urbani, e le forze che in Parlamento hanno a cuore la vita musicale in Italia? La Scala non deve marcire su ordine di chi non vede le cose marciare nella direzione pretesa.
|