L'italiano è stato declassato anche nella «Schola» europea Ivo Caizzi Corriere della Sera, 1/3/2005
BRUXELLES — Una prima retromarcia la Commissione di Josè Manuel Barroso la fa oggi ripristinando la traduzione nella lingua italiana in una conferenza stampa da cui era stata eliminata. Ma intanto il caso dell'italiano declassato in Europa, sollevato dal Corriere, trova nella Schola Europaea un altro esempio di penalizzazione della nostra lingua a vantaggio del trilinguismo (inglese, francese e tedesco). Questo apparato d'istruzione nei principali idiomi comunitari, che accoglie circa 20 mila alunni ed è finanziato dalla Commissione e dai governi dei 25 Paesi membri, ha infatti deciso di chiudere tutte le sezioni in italiano a Kalsruhe (Germania), Culham (Londra), Bergen (Amsterdam), Mol (Belgio). Fornisce informazioni e documentazioni in inglese, francese e tedesco (nonostante gli italiani siano stati tra i fondatori e abbiano contribuito a farla denominare in latino). Le sue 13 sedi offrono 1.815 posti in italiano e ben 4.801 in francese, 4.054 in inglese, 3.290 in tedesco. Inoltre emergono discriminazioni nell'accesso ai suoi costosissimi corsi (210 milioni di euro all'anno), dove gli alunni sono considerati di «serie A, B o C» in base alla casta e al censo. Un esempio emblematico è la chiusura a Karlsruhe, dove vengono mantenute le classi in inglese, francese e perfino in tedesco. Il direttore generale della Schola Europaea, Michael Ryan, nega però discriminazioni linguistiche: «Chiudiamo le sezioni italiane a Karlsruhe, Culham, Mol e Bergen perché lì non ci sono più abbastanza figli di funzionari comunitari. Siamo finanziati con denaro pubblico, ma operiamo come una scuola privata riservata ai figli dei dipendenti delle istituzioni Ue, che la frequentano gratuitamente. Sullo stesso piano mettiamo i figli dei diplomatici presso l'Ue. Accettiamo poi, come "categoria due", i figli di dipendenti di banche, imprese o altre entità perché ci pagano rette molto più alte rispetto alla "categoria tre"». In quest'ultima sono privilegiati nelle iscrizioni i figli di chi lavora alla Nato, che pur non è un organismo dell'Ue. Ma la «serie C» della scuola è costituita soprattutto dai figli dei comuni cittadini, definiti «altri». Ryan afferma che vengono ammessi perché sono utili a creare un ambiente pedagogico più favorevole per i figli degli eurocrati e dei diplomatici: «ma solo se c'è posto»! Quando non ci sono più scolari e studenti di «serie A», la sezione viene chiusa. Gli «altri» vengono respinti anche quando i posti sono già riempiti dai figli di eurocrati e diplomatici. A Bruxelles le sezioni italiane sono piene e non accettano più gli «altri», nonostante non ci siano alternative nella propria lingua per quella che resta la principale comunità straniera in Belgio. Francia, Germania e Regno Unito contano su tantissime scuole in francese, molte in inglese e abbastanza in tedesco. La conseguenza è che delle famiglie italiane non si trasferiscono a Bruxelles perché non esiste l'istruzione in italiano. E lasciano aperti spazi professionali, occupati sempre più spesso da francesi, tedeschi e britannici. Valerie Rampi, portavoce del vicepresidente della Commissione Siim Kallas, difende l'attuale sistema sostenendo proprio che «la maggioranza dei nostri dipendenti con figli, se non potesse contare sulla scuola europea, non andrebbe a lavorare all'estero per le istituzioni Ue». La copresidente della destra dell'Europarlamento, Cristiana Muscardini di An, ha già fatto un'interrogazione sulla Schola Europaea. Altri eurodeputati del centrosinistra e del centrodestra se ne stanno occupando. Dopo che il Corriere ha sollevato il caso, alcuni genitori di bambini italiani della «categoria tre» denunciano tentativi di espulsione strisciante attuati con aumenti delle rette da migliaia di euro. «Capisco i timori per le sezioni in italiano e lo sconcerto per il trattamento della "categoria tre" - afferma Giovanni Villani, che rappresenta il ministero degli Esteri nella Schola -Ma il problema è che la scuola europea ormai andrebbe cambiata completamente».
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